Mi giro appena in tempo per osservare l’inizio della prima performance: una concorrente comincia a scaldarsi al microfono. Mi distraggo per qualche secondo e poi mi giro verso il balcone dove vedo che sta salendo qualcuno arrampicandosi alla ringhiera esterna. Corro verso la doppia porta di cui è chiusa la metà inferiore: l’intruso, che ricorda vagamente il mi ex-socio da libero professionista, arriva alla porta mentre io faccio in tempo a chiudere la parte superiore bloccandogli una falange in mezzo. Mentre divertito mi giro alla ricerca di un paio di forbici o una pinza per torturarlo vedo la seconda parte dello spettacolo, nella piazza all’interno dell’appartamento. Fuori è giorno, ma in piazza è notte e la cantante è illuminata da qualche faretto.
Ricordo solo il ritornello:
-“Rily Mody” (cantato enfatizzando la seconda sillaba come fosse una doppia; potrebbe essere una pronuncia maccheronica di due parole inglesi: Really Mody, oppure una storpiatura di Real Money, o qualcosa sui generis).
Le prove del coro
Arriva il suo amico e si sposta in fondo alla sala con il gruppo di cantanti: lui è biondo scuro con i capelli mossi corti ma cotonati ed un paio di occhiali semplici, con la montatura trasparente in plexiglass.
Cantano un pezzo tribale africano che fa più o meno così:
-“Alla iucata eh … zen ga! Manna iucata eh … sen da!”
La ragazza, che è rimasta lì vicino a me, è entusiasta e mi fa notare che loro usano questo fraseggio onomatopeico per replicare il suono del canto tribale africano.
Ci mettiamo un attimo in disparte e ci baciamo di nuovo: questa volta credo di averle preso la testa con le mani e la sento più partecipe, risponde al bacio.